Liguria – Camogli [Reportage]

Prendo sempre pochi appunti quando viaggio. La pigrizia a volte è più forte di me, da quando però fotografo mi tengo segnate a mente alcune cose. Per esempio quest’estate ho scattato tre rullini mentre ero in vacanza e ho interagito un poco con gli indigeni (per lo più Liguri). in questo modo foto e informazioni si sono sommate a formare un’unica cosa inseparabile.

ora però che mi accingo a scrivere di quell’esperienza devo cercare di separare tutto, raccontare in modo lineare e corretto e proporre delle immagini che raccontino la stessa cosa del testo. in questo processo apparentemente semplice mi si oppone un trauma latente il “caldo”. dovete sapere, prima che inizi questo terzo reportage, che io odio il caldo e come ogni buon nordico che si rispetti amo la montagna; dico ciò perché se da una parte è vero che sono prevenuto, dall’altra ho patito più caldo in questa mia avventura in Liguria che in tutta la mia vita e vi posso garantire ho anche temuto in alcuni casi che sarebbe finita male.

Ma andiamo con ordine!

La prima tappa di questo mio viaggio, che mi sono dimenticato di dire è stato un concentrato di una settimana, è Camogli. Nome reso famoso dalla focaccina del Autogrill e dalla relativa citazione nel capolavoro del doppiaggio lo svarione degli anelli, è una cittadina davvero bella e caratteristica.

La cosa che si può subito notare è la grande quantità di colore che è caratterizza questi luoghi, infatti quasi ogni casa è colorata e decorata in modo molto vivace. Ho sempre invidiato questa cosa, dalle mie parti quando si costruisce un palazzo non si guarda tanto all’impatto del colore, così si finisce per vedere grigio un po’ ovunque. Le strade sono strette, passa forse una macchina, ma forse no. Le chiamano Caruggi, una parola la cui origine non è nota, forse francese, forse latino o forse persino arabo. vi dirò che in fondo l’etimologia araba che riconduce il nome a “strada che porta al mare” non mi dispiace, perché effettivamente è così ogni strada qua porta al mare che sembra essere il luogo dove tutto comincia e tutto finisce. ma una cosa mi distrarrà sempre e davvero adoro è il profumo di panetteria che permea le strade, mette di buon umore e nondimeno fame anche fossero le nove della mattina. decido di seguire quel buon profumo passo due panetterie sulla via principale, superò una casa con Cristoforo Colombo dipinto. poi mi prendo il mio tempo scatto qualche foto, prima una bella cartina di Camogli, poi le case.

ma è il porto che mi colpisce, dove la spiaggia finisce o inizia, un piccolo porticciolo si apre, ed infondo così piccolo non è. un imponente barca si trova ormeggiata difronte a me, dalla quale scendo e salgono una moltitudine di turisti, abbassando lo sguardo però esso si perde tra le piccole barche ormeggiate li, colorate ed eleganti testimoniano che il mare è davvero il centro della vita di Camogli. imparò così una nuova parola “Leudo”.

Il Leudo è una piccola imbarcazione, che serviva per il trasporto delle merci. La rotta che seguivano queste navette le portava in Sardegna, Corsica, Toscana e Francia, commerciando vino, pecorino, ardesia e le famose ceramiche di Albissola. di questo passato commerciale oggi non rimane che qualche resto per un totale di soli nove leudi sopravvissuti al tempo. 

la cultura del mare è molto affascinate e come ho già detto numerose volte fino a qui permea il vissuto di tutti i paesi della costa Ligure dove tutto sembra dal mare arrivare e al mare tornare. mentre sono preso da queste riflessioni, con una focaccia in mano, una di quelle al formaggio che tanto adoro, abbasso lo sguardo e vedo una cosa che mi colpisce: un intreccio di funi tiene ormeggiaste i grandi battelli turistici e le piccole imbarcazioni del passato credendo un indistinto legame che tiene unito il vecchio e il nuovo, il mare alla terra. 

quando il caldo aumenta, l’ombra se ne va, il sole picchia più forte che mai, è il momento di buttarsi in acqua, un bel bagno; l’acqua è pulitissima e davvero rinfrescante, ma a riva i sassi scottano come lava e per tornare all’asciugamano saltello qua e là mentre una signora evidentemente ride di me. Non sono mai stato uno da spiaggia, l’inutile sedere a poltrire e il qualunquismo dei discorsi da ombrellone spesso mi irritano preferisco camminare. Dopo poco sono asciutto e riprendo il mio pellegrinare per il paese.

Salgo da una scalinata nella zona del porto, arrivo così al castello della Dragonara, una postazione difensiva trecentesca; una volta antico centro politico e militare della città ora è una delle tante attrazioni del luogo, maestoso si staglia verso il cielo sopra un picco di roccia. apro il telefonino e leggo un po’, il castello ha fatto diversi passaggi nel passato ma uno mi colpisce più di altri: è stato un acquario, un antesignano di quello di Genova dove appunto i pesci che erano li sono stati portati.  

Imbocco un carruggio, poi un altro e poi torno alla macchina. Tra una cosa e l’altra è ormai tardi e si torna a casa, guardo il conta-pose della macchina fotografica 36 scatti riavvolgo, ne estraggo uno nuovo, lo inserisco e sono pronto per un altro giorno.

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