Fotografia – una verità in posa [Reportage]

un reportage un po’ particolare questo mio secondo, forse andrebbe creata una categoria nuova solo per lui, ma visto che è lo spirito della ricerca con la macchina fotografica in mano che mi spinge a scrivere questo è e resta un reportage. In questo articolo, che confesso si dilunga parecchio e ha toni complicati, parlerò della correlazione tra verità e fotografia facendo un simpatico passaggio sul Selfie

Introduzione

Rappresentare il mondo, sin dalla più tenera età dell’uomo sulla terra è sempre stato l’obbiettivo di chi con vari mezzi dipingeva e scolpiva. Varie teorie e metodi si sono poi susseguiti, arricchendo la storia dell’arte e dell’estetica in modo grandioso. Ma dal 1800 in avanti un nuovo modo di rappresentare il mondo si è imposto ed è oggi il più pervasivo: La Fotografia.

Senza dubbio prima della fotografia la rappresentazione del mondo nelle sue varie forme avveniva attraverso disegni, dipinti e parole. Lo stimolo a riprodurre la natura, in maniera “automatica” e più fedele possibile alla realtà, è la motivazione che spinge studiosi ed amatori a realizzare un procedimento che permetta di fissare in maniera permanente, mimetica e riproducibile il mondo circostante. Gli indizi della fotografia sono ritrovabili anche in Aristotele che osservò come la luce passasse attraverso un foro circolare; successivamente, nel medioevo, abbiamo le prime “camere Oscure” di cui anche il genio fiorentino Leonardo Da Vinci ne dà una sua progettazione nel 1515. Mezzo secolo più tardi gli artigiani veneziani con le loro capacità nella lavorazione del vetro, iniziano ad applicare alla camera oscura lenti e diaframmi. Fino a questo punto però le camere oscure si attestavano solamente come strumenti per lo studio della luce ed erano ovviamente incapaci di riprodurre e fissare immagini su supporti. Infatti la fotosensibilità, già conosciuta negli studi degli alchimisti medievali, ha il suo studio effettiva solamente nel 1700 quando viene inventato il nitrato d’argento, composto che è alla base dell’impressione su supporti acetati. Bisogna però aspettare il 1800 perché si inizi a sperimentare ed arrivare a forme di fotografia simi a quelle che conosciamo oggi. Il primo sistema fotografico ad essere diffuso e a funzionare correttamente fu il Dagherrotipo che si propose come strumento ad uso degli artisti, nel giro di pochi anni dalla sua scoperta esso divenne molto utilizzato e perfezionato dalla fiorente industria tedesca. Fu infatti alla metà del 1800 che l’azienda Voigtländer produsse la prima lente per dagherrotipo e pochi anni più tardi il primo dagherrotipo totalmente in metallo. La seconda metà dell’ottocento fu caratterizzata dalla nascita delle grandi aziende fotografiche e dal perfezionamento dei supporti fotografici, non dimeno l’invenzione da parte dell’americana Kodak di supporti fotografici di piccole dimensioni a base di gelatina animale precaricate nella camera, portarono alla diffusione della fotografia pressoché ovunque entrando anche nei salotti cittadini. La fotografia diventò così in meno di mezzo secolo uno strumento di grande impatto artistico e sociale, ma mancava un ultimo tassello, l’ultimo elemento che avrebbe permesso alla fotografia di diventare un mezzo per raccontare la storia, e quell’elemento venne dal cinema e dalle pellicole 35mm. Questo nuovo supporto, un film in tri-acetato, permetteva la realizzazione di fotocamere di dimensioni contenute e di realizzare dei contenitori contenenti un notevole numero di pose e d’altra parte anche la capacità di proteggere la pellicola da danneggiamenti in fase di caricamento. Con una facilità di uso senza precedenti e con dimensioni ridotte la fotografia in 35mm divenne nel giro di pochissimo tempo il modo di fare fotografia e raccontare società e mode, guerra e pace, vita e morte.

Universale come il Linguaggio

Analizzando la fotografia dal punto di vista del suo linguaggio, si può comprendere come essa sia a carattere universale, ovvero sia accessibile da tutti in modo istantaneo, con un colpo dello sguardo. Questo dona alla fotografia la capacità di essere strumento informativo democratico. Infatti la fotografia è un segno iconico e come tale ha un referente nella realtà; ma tuttavia essa non è solamente oggettiva, anzi nella maggioranza dei casi, è impiegata soprattutto in modo soggettivo. Quello che l’accomuna al testo stampato è la possibilità di soffermarsi su di essa per il tempo necessario all’assimilazione del contenuto. In oltre essa è strumento molto adattabile, capace di raccontare molteplici storie e mantenere toni differenti a seconda del referente. È possibile vedere perciò un trend di scadimento del linguaggio fotografico dalla sua prima diffusione ad oggi, passando da una fotografia “borghese” ad una fotografia “di tutti”. Questo passaggio è determinato dalla diffusione della fotografia a ceti sociali più bassi ed infine la quasi onnipresenza di fotocamere sui telefono-cellulari. In oltre anche le testate giornalistiche nel tempo hanno percorso una decensurazione del materiale fotografico proposto, diventando anche più audaci nel pubblicare foto dall’impatto forte

Reale come la Realtà

Come detto precedentemente la fotografia si caratterizza per uno statuto iconico, ed ha sempre un referente nella realtà. Questo permette al fotografo di mostrare a pieno il reale. Esso però è un reale sempre “in posa” poiché è il fotografo che decide cosa inserire del tutto visibile all’interno del riquadro di campo. Con questo possiamo capire come il fotografo “menta” ovvero scelga a priori per il lettore cosa mostrare de una realtà che gli si svela davanti agli occhi. Questa dinamica tra dentro e fuori dall’inquadratura, si dà in una fruttuosa circolarità tra universale e particolare, dove il fotografo inquadrando è tanto più vero tanto più scegliendo un particolare riesce a raccontare l’universale, in altre parole è tanto più vero quanto il particolare inquadrato racconta del universale fuori inquadratura. Questa particolarità della fotografia ha portato in passato a trasmettere grandi messaggi, come l’efferatezza di una guerra, dove attraverso una foto particolare, per esempio il lavoro di Robert Capa durante la seconda guerra mondiale, il lettore della rivista Life poté comprendere l’universale della guerra. Chi non vive di persona la brutalità della guerra non riesce a rendersi conto veramente di ciò che sta accadendo; solo l’impatto delle fotografie, che è molto più diretto, rapido, succinto viscerale ed intenso di quello delle parole, ne permette la sua presa di coscienza. Questo ha permesso alla fotografia, proprio per la sua capacità di essere nell’immaginario collettivo incapace di mentire di acquistare sempre più fiducia a discapito della fede nella parola poiché soggettiva.

Senza dubbio è anche possibile notare come la fotografia abbia permesso un balzo in avanti anche all’arte, che con il suo avvento era stata messa completamente in crisi. Il fatto che la fotografia permette una riproduzione del reale ha permesso lo studio di quest’ultimo scardinando canoni anche centenari, come ad esempio quello che voleva che il cavallo al galoppo venisse raffigurato con quattro arti distesi, mentre invece li tiene rannicchiati sotto l’addome. La fotografia focalizzando un dettaglio permette di prendere al soggetto di prendere coscienza della realtà che fino ad allora si immaginava in modo parziale, permette al soggetto di dire a sé stesso “allora è davvero così”.

Senza dubbio è anche possibile notare come la fotografia abbia permesso un balzo in avanti anche all’arte, che con il suo avvento era stata messa completamente in crisi. Il fatto che la fotografia permette una riproduzione del reale ha permesso lo studio di quest’ultimo scardinando canoni anche centenari, come ad esempio quello che voleva che il cavallo al galoppo venisse raffigurato con quattro arti distesi, mentre invece li tiene rannicchiati sotto l’addome. La fotografia focalizzando un dettaglio permette di prendere al soggetto di prendere coscienza della realtà che fino ad allora si immaginava in modo parziale, permette al soggetto di dire a sé stesso “allora è davvero così”.

Bellezza e fotografia

La grande evoluzione della fotografia, come già detto in precedenza, ha portato allo sviluppo di macchine fotografiche sempre più alla portata di tutti, fino a diventare una possibilità nelle mani di tutti attraverso lo smartphone. Si è così distinta all’interno di chi fotografa le categorie di professionisti e amatori, gli uni che con la fotografia “guadagnano” gli altri che sono semplicemente appassionati. Sono queste due categorie che più di tutte si sono preoccupate di definire un “canone” di bellezza; per quanto si possano identificare varie scuole, solitamente legate a fotografi professionisti, possiamo identificate 4 filoni fondamentali ed esplicitabili.

Ordine e Simmetria: questo modo di costruire la bellezza di una fotografia prevede l’utilizzo di regole geometrico-matematiche, al fine di posizionare in determinati spazzi del inquadratura la realtà, è questa la regola dei quarti che vuole la divisione del campo inquadrato in nove riquadri più piccoli e all’interno di essi il posizionamento di oggetti della realtà. Un altro caso è quello della spirale Aurea che vuole il posizionamento di oggetti che partendo da un centro inquadrato per poi seguire una disposizione a spirale seguendo la proporzione Aurea. L’ultimo caso è quello usato dalla fotografia paesaggistica, dove si cerca di dividere e mantenere una certa armonia delle linee e dei colori[1], appiattendo la realtà mediante il Teleobbiettivo.

Luce e Contrasto: questo modo di costruire la fotografia, prevede l’utilizzo di colori contrastanti e tendenzialmente molto saturi, che coinvolgono colui che guarda generalmente attirando l’attenzione su quell’unico dettaglio che si staglia diverso da tutto il resto. La bellezza si da nell’oggetto che più di tutti gi altri contrasta con l’inquadratura, È per esempio il caso di un ombrello rosso in mezzo ad una folla di ombrelli neri. Questo modello di bellezza è usato molto sia per la fotografia ma soprattutto nel cinema. In oltre grazie al passaggio al digitale e alla grande possibilità di post produzione è possibile oggi vedere fotografie di questo genere dal grande impatto emotivo. Per quanto riguarda invece l’uso della luce, è possibile vedere come soprattutto nella fotografia in bianco e nero gli effetti luminosi permettano di far risaltare meglio oggetti e soggetti attirando lo spettatore verso punti specifici dell’inquadratura.

Bianco e Nero: è questo il caso di molte fotografie e più che un canone di bellezza è più uno stile fotografico; ciò nonostante possiamo rilevare una certa bellezza e impatto emotivo nella fotografia in bianco e nero. È questa una struttura connaturata nel uomo che vedendo sempre a colori trovandosi difronte all’immagine in bianco e nero si trova piacevolmente spiazzato notando spesso ciò che prima e mai avrebbe notato.

Attimo ed Irripetibilità: è questo canone molto apprezzato specialmente dagli anni dieci del nostro secolo, questo è stato dovuto ad una possibilità quasi illimitata di fotografare e riprendere, questo ha portato allo sviluppo di una graduale rivalutazione del concetto di Istantanea. Spesso di riflessività e artisticamente meno pensata, l’istantanea appare bella poiché reale, sfruttando a pieno gli studi fatti da Enri Cartier Bergson, all’interno di essa possiamo trovare l’attimo immortalato, essa si mostra in una dialettica tra presente nostalgia e memoria del passato. Nell’istantanea possiamo vedere a piano ciò che è stato e che per l’attimo che la guardiamo continua ad accadere. È l’attimo decisivo impresso una volta e per sempre. È l’irripetibilità, l’impossibilità di modifiche che rende questo Metodo-Canone così intrigante oggi, in un mondo che corre essa ferma il tempo nell’attimo in cui la si scatta.

Bello come me

In questo ultimo capitolo voglio indagare un’ultima categoria che potrebbe essere messa nel capitolo precedente, ma che merita uno spazio suo per la rilevanza che ha nella nostra società: il ritratto.

Presente sin dagli albori della fotografia il ritratto è stato l’uso principale dello strumento fotografico nei confronti delle categorie meno agiate. Penso che tutti siano in possesso o almeno ne abbiano visione di quelle belle foto in bianco e nero dei parenti vissuti nell’ottocento che sono presenti nelle camere da letto delle nonne o in album. Ritratti singoli, di famiglie o matrimoniali sono stati per lungo tempo il pane quotidiano di molti fotografi. Ancora oggi per necessità dettate dalla legge spesso ci si reca da fotografi professionisti per avere dei ritratti in fototessera, per patenti, passaporti ed altri documenti. Nel passato recente però il ritratto fotografico ha avuto una grandissima importanza anche politica, basti pensare al ritratto fotografico di Che Guevara diventato un po’ il simbolo di un determinato eroismo idealista. Ma non solo il ritratto ha permesso il lancio di numerose star del cinema come Marilin Morrot, oppure semplicemente ricordare chi fosse a comandare è il caso di molti capi di governo. La Tecnologia però, associata alla nascita di social network generici come Facebook o specifici per fotografia come Instagram, ha portato alla nascita del così detto Selfie. Oggi è un vero e proprio stile, sia fotografico che di vita, il fare da se e autorappresentarsi in uno scatto che diviene autopresentazione. In una società dove la comunicazione è per lo più ridotta alla funzione fatica, il Selfie diviene strumento di autopresentazione del se nei confronti del mondo, ed è bello non perché possegga qualche cosa di particolare, uno stile, ma proprio perché è me. Attraverso di esso si racconta la propria vita ad un imprecisato pubblico o si cerca di influenzare gli altri ad imitarci. In questa dinamica autoreferenzaiale è il soggetto che cerca di importi come “soggetto leader” invitando gli altri ad imitarlo o ad apprezzarne l’essere. In esso è allora rappresentato l’io del ritratto con tutte le sue sfumature e pensieri ma senza alterità. Essa infatti viene meno, essendo colui che fotografa il soggetto stesso della fotografia. Questa condensazione di tutto l’io in un immagine di autopresentazione determina una qualificazione del soggetto a parvenza democratica che diviene o meno bello a seconda dell’apprezzamento collettivo mediante “Like”. Accade spesso allora che il soggetto debba costruire attorno a se una realtà parallela, presente solamente nelle immagini di se stesso che scatta, trascinadosi così in un mondo parallelo ad uso e consumo degli occhi dell’altro che ignaro ne attesta la veridicità con l’apprezzamento. Il frazionamento allora del soggetto in due parti o più parti è una delle conseguenze possibili e lo scadere dello statuto veritativo e comunicativo della fotografia è minato. È allora impossibile definire un canone di bellezza, uno stile per la fotografia Selfie che scade da ogni canone ed utilizzo artisti e diviene solamente strumento dell’ego.

Conclusioni

La fotografia dalla sua nascita ad oggi non si è limitata a registrare la realtà, ma è divenuta un modo in cui essa ci appare, modificando radicalmente i punti di vista. Lo svelarsi di una cosa lontana mediante fotografia cambia lo spettatore e si impone alla coscienza come istanza di accettazione o meno di essa. La fotografia allora istruisce la coscienza e riordina la realtà. Allo stesso modo essa risponde alla necessità dell’uomo di fermare il tempo e il reale e di contemplare la bellezza di esso, il fotografo d’altra parte può costruire anche un messaggio che è destinato allo spettatore che può così arricchire la propria visione dell’universale, con un particolare che prima non aveva. Infine la fotografia è capace di costruire o distruggere un soggetto, o peggio di costruire attorno ad un soggetto una realtà parallela, è questo il caso peggiore, poiché la verità del reale si allontana dalla fotografia, e l’ermeneutica che l’altro fa di essa arriva a conclusioni errate. La bellezza che permea tutta la fotografia, dai suoi albori ad oggi è proprio la capacità di afferire al reale e come tale essere vera. Si possono variare stili, metodi costruttivi di un inquadratura o addirittura colori, ma se si vuole avere una bella fotografia non si può mentire, così da far rimanere la foto una verità in posa.

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